VIII Movimento – Zingari
Zingari, 2013
Di Stefano De Matteis
Forse per il 1926, l’anno in cui Raffaele Viviani scrisse e mise in scena Zingari. Questi, gli zingari, potevano essere considerati come la metafora più adatta a rappresentare una variazione (peggiorativa o estrema o forse solo realisticamente camuffata) dei napoletani. Una rappresentazione delle condizioni di violenza reciproca che scattano in momenti non solo di costrizione o di cattività. Ma anche di una certa normalità comportamentale se questo testo viene letto e interpretato come un esperimento di etologia sul sopruso e la violenza che si applica tra gli “ultimi” della terra.
All’interno del suo teatro e nelle condizioni dell’epoca, ricorrere a una diversità radicale come sono sempre stati considerati gli zingari (ovviamente con tutti gli stereotipi e i luoghi comuni, difficili da smantellare e far tramontare) permetteva all’autore di potersi concentrare sulla natura e sui sentimenti. Ma anche sui soprusi e su quella violenza quasi connaturata nell’uomo che lo porta al dominio e alla distruzione dell’altro-simile, che si scatena quasi sempre sul più debole, indifeso o incapace.
Se il sentimento dell’amore sgorga naturale immediatamente acquista le connotazioni del dominio e del sopruso. Un amore non corrisposto merita la violenza o lo si addomestica o lo si combatte con un artificio altrettanto naturale come la magia, ingaggiando una partita senza esclusioni di colpi (mortali) per abbattere ogni barriera e ogni separazione che separa dall’appagamento del desiderio.
Dal 1926 ad oggi non ci sono stati solo i campi di sterminio dedicati agli zingari. Numerosi sono riconoscimenti e pratiche sociali. Questi – al di la delle questioni di politically correct – non ci permettono più di utilizzare il termine stesso “zingari” con la stessa facilità con cui lo si poteva fare allora. Ma neanche termini più “tecnici” come rom, sinti o a quanti altri appellativi il vocabolario ci offre.
Ma al di la delle forme e delle metafore, dei mestieri e delle condizioni, c’è una cosa che resta immutata. Se parliamo di un esperimento etologico – simile a quelli che si fanno nei laboratori con le cavie per studiare le risposte a determinati stimoli comportamentali – la storia e la cronaca danno ancora oggi ragione a Viviani. Più scendi la scala sociale, più la violenza è efferata. Più vivi condizioni marginali, più ti rifarai su chi è più debole. Maggiore è il disagio, maggiormente ricorrerai a strumenti comunicativi della violenza e della distruzione… e gli eventuali miglioramenti o passioni d’amore saranno solo dei sogni e le esigenze di equità sociale saranno sempre con il coltello sporco di sangue… per parafrasare quanto diceva John Brown simbolo della lotta per la liberazione: “ogni forma di schiavitù porta a uno stato di guerra” per quanto possa essere dichiarato o inconsapevole.
Boyun eğme!!/ Non sottometterti!
INTERVISTA a Maurizio Braucci
Perché Zingari di Viviani?
Zingari è uno spettacolo che non si può più rappresentare così come Raffaele Viviani lo scrisse, viziato da luoghi comuni sui rom che per fortuna sono stati, almeno sulla carta, superati. Eppure mantiene tutta la sua forza e la sua verità sui temi dello sfruttamento e della precarietà, temi che oggi questa terribile crisi economica ha portato a galla e che riguardano soprattutto i giovani a cui vogliamo dare voce. Arrevuoto ha sempre avuto una forte componente di giovani rom e rom sono anche i musicisti di Istanbul con cui collaboriamo quest’anno. In un momento in cui le proteste antigovernative in Turchia diventano sempre più drammatiche, il nostro Zingari è una piccola bandiera da sventolare per la libertà e la dignità dei giovani di ogni paese, a partire da Napoli e da Istanbul. Per questo nel titolo abbiamo inserito uno degli slogan delle proteste: Boyun egme, non sottometterti!
Come nasce la collaborazione con il Sulukule Childrens art atelier?
Da tempo desideravo portare Arrevuoto verso una collaborazione internazionale, perché credo che il nostro metodo di lavoro pedagogico basato sull’incontro tra differenze può funzionare anche su grandi distanze. Dopo vari tentativi falliti, abbiamo conosciuto l’esperienza di Sulukule grazie a degli amici italiani che vivono ad Istanbul, così ci siamo incontrati e abbiamo capito che questa era la volta buona. Mancavano i soldi per fare il progetto così come lo avevamo pensato e alla fine abbiamo accettato di farne una versione ridotta per il Napoli Teatro Festival, augurandoci di riuscire l’anno prossimo a realizzare lo spettacolo integrale anche per il Festival Teatrale di Istanbul, magari per festeggiare lì il successo delle proteste di Gezi Park.
Quattro registi firmano lo spettacolo (Laieta, Stornaiuolo, Porzio, Giroso): perché?
Arrevuoto è un progetto collettivo, quindi anche la regia lo è. E’ interessante vedere quanto sia una sfida per i teatranti derogare dal metodo egocentrico per quello di gruppo, è un grande esercizio di crescita e raffinamento e alla fine il lavoro collettivo è più potente. Ormai ovunque, dalle scuole di scrittura a quelle teatrali, ai giovani viene insegnato nell’arte come essere narcisisti e guadagnarci, in Arrevuoto cerchiamo di fare il contrario, non a caso il nostro sito si apre con la frase di Carmelo Bene “Successo, participio passato del verbo succedere”. Così la regia collettiva è un perno fondamentale di Arrevuoto.
Quest’anno la gestazione del progetto è stata un po’ diversa rispetto agli altri anni: come mai?
Quest’anno c’è una crisi pazzesca, la gente perde il lavoro e spesso anche la salute, anche la cultura paga il suo prezzo e anche noi. La cosa però più disgustosa è vedere che i tagli e le riduzioni maggiori sono fatti al welfare e ai progetti non elitari, come se le porte della fortezza si stessero chiudendo per far sopravvivere solo i pochi legati al Potere. Un progetto di teatro e pedagogia vale meno di una grande kermesse, ma noi siamo ancora qui perché abbiamo delle buone idee progettuali e perché il gruppo di lavoro ha generosamente accettato di lavorare benché da due anni non percepiamo soldi e le difficoltà del Mercadante ci hanno messo finanziariamente in ginocchio.
Arrevuoto è arrivato alla sua ottava edizione, quali saranno gli sviluppi futuri del progetto?
L’anno prossimo vorremmo realizzare uno Zingari integrale e portarlo ad Istanbul con non “solo” i 40 ragazzi di quest’anno. In genere vorremmo che Arrevuoto continuasse con i laboratori teatrali tra centro e periferie durante l’inverno per debuttare con uno spettacolo in primavera, per poi fare un progetto di incontro internazionale durante l’estate. E’ un obiettivo arduo con le difficoltà finanziarie che imperversano, ma sarebbe un fiore all’occhiello della pedagogia non autoritaria e della formazione teatrale giovanile.
Zingari/ Boyun eğme! – Comunicato di lancio
arrevuotamente ispirato a ZINGARI di Raffaele Viviani
in collaborazione con Sulukule Children Arts Atelier
Il 23 giugno 2013 andiamo in scena, all’interno del Napoli Teatro Festival, con uno studio teatrale liberamente ispirato a “Zingari” di Raffaele Viviani. Ma non è una semplice messa in scena e per tante ragioni. Quest’anno infatti Arrevuoto diventa un progetto internazionale grazie alla collaborazione con il Sulukule Children Art Atelier, un gruppo di musica e pedagogia nato nella periferia di Istanbul, in Turchia, nel quartiere Sulukule, il più antico insediamento rom in Europa, risalente al 1400. Come Arrevuoto è nato nel 2005 in risposta alla carenza di diritti e opportunità per i giovani napoletani, Sulukule Children Art Atelier nasce nel 2009 per reazione allo sgombro di centinaia di famiglie rom dentro una scandolosa speculazione edilizia che ha abbattuto edifici di immenso valore storico per costruire palazzine residenziali. Arrevuoto e Sulukule si incontrano nel 2012 grazie alla mediazione di Calogero e Sabrina Tornese, due amici italiani residenti ad Istanbul, nasce così subito l’idea di un progetto comune tra le nostre due esperienze di arte e pedagogia. Viene automaticamente da pensare a Viviani e al suo Zingari, in quanto i giovani rom napoletani che animano le file di Arrevuoto sono una pietra miliare del progetto, grazie alla nostra simbiosi con il gruppo di educatori di Chi Rom.. e chi no. Non solo però per il tema etnico e culturale ma anche per quello musicale: Zingari ha una partitura che ricalca le melodie gitane, in un connubio con quelle napoletane che questa volta verranno suonate di ritorno da Istanbul a Napoli.
Andiamo in scena mentre in Turchia migliaia di giovani protestano contro il governo di Erdoğan e delle sue lobbie finanziarie, manifestando in favore della libertà e della dignità di un popolo che grida Boyun eğme! Non sottometterti!