Metodo

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Metodo e Pedagogia

Riflessioni sul metodo di Arrevuoto

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]E’ possibile parlare di un metodo pedagogico di Arrevuoto.
Nel corso degli anni, Arrevuoto ha elaborato un metodo educativo nei suoi laboratori in tutta la città.
Si tratta di un metodo fatto di ascolto, osservazione, stimolazione all’espressività, gioco e rituali che l’équipe educativa di Arrevuoto, con la guida di Chi rom e…chi no, ha strutturato nel corso di questi anni.

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Nel teatro, il gioco deve essere anche bello, per sé e per gli altri – i partner, gli spettatori. L’esperienza pedagogica non può che essere anche esperienza estetica. E basarsi sul godimento che dà la ricerca e sperimentazione di nuove regole. Da  accettare e cambiare, di nuovo e poi di nuovo. La rappresentazione diventa  secondaria, in un processo che si voglia educativo in profondità, di crescita e trasformazione. Il caso di Arrevuoto è esemplare, qui la rappresentazione è solo il punto d’arrivo “provvisorio”, il momento che riguarda la polis, quando tu vuoi rinviare agli altri quello che hai imparato lungo il percorso del gioco-teatro. Si tratta di mettersi in mostra per gli altri e di insegnare agli altri, in questo caso insegnare agli adulti a mettere in gioco la loro esperienza, affinché capiscano la le regole, tante delle quali innecessarie e abusive, e quindi la loro reinvenzione.

Il teatro salvato dai ragazzini, Goffredo Fofi[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_zigzag][vc_column_text]

Così prese forma l’idea, per il 2008, di un “affresco da Molière” dove i suddetti gruppi lavorassero in maggior autonomia, a fronte della suddetta squadra di “guide” da me individuata negli anni. Nel percorso tale squadra aveva maturato una corretta sensibilità di lavoro, sensibilità che può affinarsi solo con l’immersione nella mischia, l’attenzione e l’ascolto di “tutti” i partecipanti, la consapevolezza che, nella non-scuola come in Arrevuoto, l’adolescente è re. Che l’amore per il teatro produce alchimia e “messa in vita”.

Cavalcare la tempesta, Marco Martinelli[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_zigzag][vc_column_text]

La scuola è importante. Però mi meraviglio come i maestri di strada non abbiano capito che una delle cose importanti da utilizzare è proprio il dialetto. Non è il discorso della conoscenza in quanto nozionismo. E’ un fatto di cuore. Attraverso la lingua si arriva al cuore, ai sentimenti, ma non in senso banale, anche nel senso della rabbia, della collera.

La lingua della madre, Salvatore Palomba[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_zigzag][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”4005″ img_size=”full” css_animation=”none”][/vc_column][/vc_row]